Che la musica dei Deftones non sia ascrivibile a un solo genere musicale - in questo caso l'alternative metal - lo si capisce subito guardandosi attorno al Carroponte di Milano. La varietà di maglie di band diversissime indossate dal pubblico è impressionante: si trovano fan degli Arctic Monkeys, Fontaines D.C., Blur e Strokes, così come fan degli Slayer, Pantera, Megadeth, Metallica passando per gli evergreen più stagionati Beatles, Pink Floyd e Led Zeppelin. Raramente si vede un'accozzaglia simile a un concerto, sintomo che i Deftones nella loro oramai carriera ultra trentennale (la band si è formata nel lontano 1988) sono stati capaci di riunire a sé fan provenienti da universi musicali spesso molto diversi fra loro.

Sono le 21.15 passate quando, con quasi mezz'ora di ritardo (sono pur sempre delle rockstar), salgono sul palco Chino Moreno e soci. Il sole sta tramontando alle loro spalle, e chi non sta vicinissimo al palco deve lottare con la solita, fastidiosissima, polvere che si alza dal terreno del Carroponte, e che crea questa bellissima (si fa per dire) nuvola di sabbia da tempesta nel deserto.
I Deftones attaccano subito con una doppietta micidiale: Be Quiet and Drive (Far Away) e My Own Summer (Shove It) tratti dal loro secondo album Around the Fur (di cui suoneranno anche il brano omonimo e Headup, che farà saltare come un corpo unico i 12.000 presenti al Carroponte).
La cosa che colpisce, oltre alla qualità tecnica dei Deftones (ma questo dopotutto si sa da anni e anni) è la forma fisica di Chino Moreno. Visibilmente dimagrito e con un'energia che fa davvero impressione per il quasi 52enne: sul palco non si risparmia, salta da una parte all'altra, aizza la folla per tutta la durata del live.

Dietro la torre di ritardo (che di fatto copre la vista del palco praticamente a mezzo pubblico della venue), c'è un moshpit perpetuo, con gente che corre in cerchio, poga e lancia birre in aria al ritmo delle schitarrate della band californiana. La serata va avanti senza un momento di respiro e con il susseguirsi di pezzi, uno dietro l'altro, come Tempest, Swerve City, Feiticeira e Digital Bath e solo dopo un po' Moreno prende il microfono per dire due parole e ringraziare di cuore il pubblico per l'accoglienza ricevuta.
Fra una canzone e l'altra partono spesso dei cori della folla, che chiede invano più volume. "Ai miei tempi si usciva fuori dai concerti con le orecchie che fischiavano" dice un tizio dietro di me, e stranamente non aveva i 50 anni da cui ci si aspetterebbe un'uscita simile, ma verosimilmente una ventina di anni in meno. Effettivamente però, non ha tutti i torti: quando partono i singalong dal pubblico, la voce di Moreno sparisce completamente, sovrastata dalla folla, e di certo non perché non abbia una voce abbastanza potente o non sia in serata, tutt'altro. Del resto è un problema tipicamente italiano, quello della soglia dei decibel, quando si tratta di concerti all'aperto in centri abitati.

Intanto il live prosegue con un oceano di telefoni al cielo quando partono pezzi come Tonight, Hole in the Heart, ma soprattutto Change (In The House of Flies) che fa cantare a squarciagola tutto il Carroponte. C'è spazio giusto per Genesis prima di arrivare all'encore con Minerva, Bored e 7 Words, con Chino Moreno che scende a cantare nella prima fila del pit, abbracciato dai fan.
Non c'è immagine migliore per descrivere la conclusione di un concerto di una band che ha fatto la storia dell'alternative metal, e che a 30 anni esatti dall'album d'esordio continua a far scoprire la propria musica di generazione in generazione.
Fotogallery a cura di Maria Laura Arturi.