Siamo tutti quello che vediamo e ascoltiamo. Non staremo qui a ripetere il solito discorso dell’arte che imita l’arte: ormai è questione sdoganata. Vale per i Courting e per chi scrive la recensione. A tal proposito, il caso ha voluto che il terzo ascolto – quello che conta di solito – sia avvenuto per il sottoscritto qualche ora prima di vedere al cinema Poor Things di Yorgos Lanthimos. Non si è trattata di un’illuminazione sulla via di Damasco, ma è stato comunque uno squarcio mentale che ha aperto un nuovo punto di vista.
Ad ascoltare il secondo album dei Courting, New Last Name, dopo aver apprezzato il debutto, ci si sente un po’ come la protagonista del film interpretata da Emma Stone. Una Bella Baxter che ricorda il proprio passato e torna in città con la speranza di ritrovare la Liverpool fantascientifica, un po’ punk rock, un po’ sintetica, di Guitar Music. La stessa copertina del debut ne era un’anticipazione. E invece ci si ritrova nella realtà cittadina caotica tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, dove i taxi si aspettano e si chiamano urlando e sbracciando, il mezzo testuale più veloce per comunicare sono le e-mail e l’amore è una faccenda da adolescenti felici col mito della malinconia.

Se un libro non dovrebbe essere giudicato dalla copertina, figurarsi un album. In alcuni casi, come già scritto, però è un antipasto. La cover di New Last Name si candida per essere una delle più brutte dell’anno, e siamo solo a gennaio. L’approccio negativo con l’artwork assomiglia molto a quello che si prova ascoltando il disco per la prima volta. Gli accordi di chitarra elettrica di Throw, proprio da opening track fanno da sfondo a un flashback narrativo. Il protagonista del racconto e dell’intero disco, pensato come organico e continuativo, è un ragazzo che torna in città e ricorda i momenti e i luoghi in cui è stato innamorato. Il pop punk subentra a tratti, ma è soffocato dall’utilizzo imperterrito degli effetti vocali. Qualcosa di molto simile all’autotune che era stato sfruttato in modo intelligente nel primo disco. Qui disturba, almeno a un primissimo ascolto.
Nei primi minuti di New Last Name si avverte una tensione continua tra passato e modernità. Si percepisce la volontà di creare qualcosa di organico, pensato e concettuale da un lato e la tentazione del pop che prende il sopravvento dall’altro. Pop unito al rock che funziona nei piccoli quadretti come We Look Good Togheter (Big Words). Il racconto dell’innamoramento, i versi simpatici e a cuti che descrivono la reazione titubante degli amici che temono le Big Words e le corrispondenze sonore e testuali, come l’ingresso del violino. Il territorio è quello dei 1975. Nostalgico, da guilty pleasure piacevole, senza troppo impegno.

New Last Name è stato presentato dai Courting come un’operetta rock o una raccolta di brani pop. A voi la scelta. Ascoltando la stramba – in senso positivo – The Hill si comprende il perché della prima definizione. Una canzone bipartita che inizia colorando l’atmosfera con un arpeggio a tinte emo evolve in un pezzo rock e si chiude con una drum machine che disegna una coda elettronica ad alto ritmo. Sullo sfondo però compaiono, per la prima volta, anche delle trombe che, di traccia in traccia, diventeranno sempre più protagoniste.
Come accade nella più rockeggiante Flex, estratta come singolo, dove si sente la mano di Gary Jarman dei Cribs che ha collaborato alla scrittura e produzione di diversi brani del disco. Le chitarre si fanno più acide, l’autotune meno preponderante, mentre il testo è una piccola perla. Si alternano citazioni generazionali, su tutte quella a Mr. Brightside dei Killers (She’s calling a cab), e uno storytelling originale e a tratti “epistolare” con la lettura delle CC delle e-mail.
I Courting perseguono il loro intento operistico anche nell’ambiziosa Emily G, ma con risultati meno convincenti. Gli effetti della voce, troppo presenti nel ritornello, vanificano la carica dei power chords di chitarra. Il risultato è una canzone troppo lunga che, se non fosse per il racconto di Sean Murphy O’ Neill, uno skipperebbe dopo un minuto e mezzo.

Il lato pop, quasi da compilation, è paradossalmente enfatizzato dai brani che un po’ si discostano dal fil rouge del disco. L’esempio emblematico è la centrale Babys, un pezzo estivo dal gusto lounge, una sorta di piacevole intermezzo. La chitarra pulita, il ritmo funky e gli ottoni per tre minuti sono una boccata d’aria fresca e la dimostrazione che la band ha una spiccata capacità di scrivere canzoni accattivanti. Deve solo mirare meglio.
E lo fa proprio nell’ultima sezione del disco. The Wedding è uno dei momenti migliori e un singolo inspiegabilmente mancato. La misura tra eccentricità ed emotività si realizza attraverso un arpeggio di chitarra anni ’80 che sembra scritto oggi. Questa volta più che i 1975, viene in mente The Drums. Il ritornello torna sulla strada maestra del pop rock con un «I do / I do» che rimane in testa.
Tuttavia, il pezzo più rock del disco, l’unico con dei brevi riff, è Happy Endings. Un altro esempio che, quando i Courting riescono a controllare il loro istinto a strafare, i risultati sono piacevoli. I synth e il finale uptempo con protagonista la batteria sono un prologo perfetto per il gran finale. Vero è che, se non sopportate il suono acuto dell’autotune, vi verrà la nausea. Ma basta farci l’abitudine.

I Courting hanno tenuto il meglio per il finale. Per cui, se dopo le prime tre/quattro canzoni vi vene voglia di lanciare le cuffie e pulire la cronologia del vostro Spotify, aspettate un attimo. Passate direttamente alla nona traccia America. Il titolo suggerisce il tipo di sound: elettronica e acustica si combinano in un mood emo pop punk. Gli effetti della voce stavolta si abbinano alla perfezione con le scariche di batteria e chitarra elettrica. Per fare un paragone, è un po’ come vorremmo che gruppi come La SAD suonassero. Va bene l’autotune, ok le delusioni d’amore, ma più sporchi e rumorosi nonostante la melodia. America fa lo stesso effetto di PDA. Voglia di concerti, di abbracci e cori a squarciagola.
New Last Name dei Courting è un album pop rock concepito per essere un’opera catchy, dove con il termine “opera” s’intende un lavoro discografico che acquista un senso maggiore se ascoltato nel suo complesso. Ci sono una storia e uno storytelling dietro: accurati, soprattutto per l’acume e le trovate di Sean Murphy O’ Neill che i testi li sa scrivere molto bene. Per definizione stessa di “catchy”, un disco del genere dovrebbe appunto “acchiappare” l’ascoltatore fin da subito e semmai, se proprio non fosse un granché, risputarlo poco tempo dopo. Con i Courting di New Last Name accade il contrario, sono necessari più tentativi per superare quel fastidio iniziale provocato dalle aspettative.
Le sperimentazioni elettroniche del sorprendente Guitar Music sono ridotte ai soli effetti vocali che, alla lunga, rischiano di appiattire le tracce. Impuntarsi e dare un’ulteriore possibilità al disco riduce di volta in volta il disturbo, facendo prevalere la piacevolezza di alcuni dettagli e le varie idee inaspettate e funzionali. Il punto è che non tutti potrebbero avere la pazienza e il tempo di far crescere un album che, in fin dei conti, resta comunque un buon disco pop rock e poco più. Non troppo legato alla nostalgia per gli anni ’90 che non ci sono più, debitore del sound indie rock statunitense del Duemila e divertente. Ennesima dimostrazione che la copertina non conta: se il secondo album dei Courting migliora ascolto dopo ascolto, per l’artwork c’è poco da fare. Resta qualcosa di poco bello.
