Il nuovo album dei Nothing But Thieves apre ad una nuova era, quella caratterizzata da un mondo distopico non troppo lontano da quello in cui stiamo vivendo. Tra canzoni (quasi innovative) e altre un po' scopiazzate dalle grandi influenze a cui si rifanno: la band di Conor Mason ci porta in giro per Dead Club City.
Welcome to the DCC.
Questo quarto LP porta sicuramente una ventata di freschezza per il gruppo: il concept. Attorno ad undici tracce è stato creato un mondo talmente distopico da essere troppo simile al nostro. Il filone principale sono le storie. Le storie di diversi personaggi che s'intrecciano in questa città omonima del titolo del disco. A tutto questo, altre tematiche che ruotano intorno. Politica, pubblicità, alienazione e privilegio, internet, industria musicale. Diciamocela tutta, non è una novità. L'idea di creare un concept attorno ai brani, o viceversa, è un circolo vizioso che a volte può funzionare, e a volte no. Ad arricchire l'obiettivo finale è sicuramente la parte strumentale e di testo. Andiamola a scoprire quindi.
Il primo singolo, nonché prima traccia, è Welcome to the DCC. Per come l'ha definita la stessa band, questa canzone è caratterizzata da un sound dance "entusiasta". In effetti lo notiamo subito: ad aprire questo album è un riff di chitarra persistente, a cui si aggiungono synth quasi apocalittici, ma ballabili. A far da cornice, la voce di Mason dalle tonalità acute e taglienti. Già in questo brano ritroviamo tantissime influenze, in primis quella forse degli ultimi Muse (il che non è sempre una buona cosa).
We’re all sinking, you know the feeling
We’re all reaching out to find another hand

Tomorrow Is Closed è un altro singolone che, a differenza della prima traccia, ha un ritorno alle chitarre elettriche classiche da canzone indie-rock dolceamara. Una canzone forse non troppo ottimista in quanto vengono trattati quelle che sono le classiche tematiche legate alla condizione umana troppo alienata e fragile e alla perdita del grande amore. Musicalmente parlando, il pezzo funziona. Certo, e sempre musicalmente, già troppo lontano dal primo estratto.
Sempre sulla stessa scia, ma più alla Tom Petty o ai classiconi americani, troviamo Overcome. Il brano parte proprio in salita, con una chitarra acustica ad aprire tutto il proseguo. Il ritmo, dettato dalla batteria e successivamente da dei leggeri synth, è piacevole all'ascolto. Ma non lascia tantissimo, neanche quando parte l'assolo di chitarra che un po' rimanda a Springsteen, un po' ai Bon Jovi.
Tra i pezzi più interessanti, Green Eyes :: Siena. Un mix di Queens Of The Stone Age e Twenty One Pilots, mischiati assieme con un buonissimo risultato finale. La canzone si apre dolcemente, Mason con la sua voce delicata e rassicurante è accompagnate da delle tastiere per tutta la durata della canzone. Una ballad interessante all'interno di questo grande calderone.

Vi ricordate il concerto di M83 al Circolo Magnolia di Milano qualche settimana fa? Se volete risentire le stesse tonalità dream pop allora Foreign Language vi può aiutare. Non solo delle piacevoli chitarre elettriche qua e là, ma una un'atmosfera data dai synth colorata e amorevole. Proprio da colonna sonora, come il duo Gonzalez. E anche se il testo riguarda l'amore nell'incompatibilità linguistica, quindi non proprio felicissimo, questo viene annullato proprio per il sound da viaggio tra le nuvole.
Forse il pezzo più interessante, per le influenze e per la tecnica, è Do You Love Me Yet. Qua ritroviamo tutti gli Electric Light Orchestra al completo, e posso dire che il risultato è ottimo. Con una critica all'industria musicale, i NBT hanno saputo costruire un ottimo brano dal mood anni Ottanta ma catapultato al presente (o al futuro?). Questo brano è il più interessante per la sua natura dance e la sua esplosione più che psichedelica nel bridge.
I'm still a broken machine
Con Keeping You Around, ci ritroviamo nell'autorefenziale. Conor si rivolge a se stesso, su suoni tipici dell'R&B più contemporaneo in quello che sembra essere uno dei brani più negativi dell'album. La successiva, City Haunts, c'è poco da dire. Un mix di Muse di una volta e di adesso, dettati anche questa volta da un falsetto ricorrente. Il finale di questa canzone? Tutto Daft Punk, invece.
A chiudere la canzone, totalmente fuori da qualsiasi nesso con il resto, Pop The Balloon. Un'altra reference al gruppo sopracitato di Bellamy, ma totalmente scollegato dal resto dell'album. Non che il tutto fosse legato alla precisione, ma come finale di un disco, qua forse siamo a livelli troppo inferiori. Non so che dire, se non che è una canzone veramente brutta.
Morale della favola. Cosa si è capito fino a questo punto? I Nothing But Thieves sicuramente alzano leggermente l'asticella della produzione, non tralasciando il loro retaggio rock. Su tantissime cose questo album funziona e su altre no. In primis proprio il concept, che viene sicuramente portato avanti per tutta la durata del disco, ma che non viene esaltato musicalmente dalle produzioni. Sono proprio queste, nonché gli arrangiamenti, a rovinare un po' tutto il percorso. Sembra di andare sulle montagne russe, a volte sali troppo in alto e il livello aumenta di conseguenza. Ma a volte scendi troppo, troppo, in basso. E lì ti gira un po' il cazzo.
Questa band sicuramente si è fatta strada in questi ultimi anni, facendosi notare come una delle tante rivelazioni del rock britannico. E chi può negarlo. Ma a volte sembra tanto che questa rivelazione sia solo data dalla voce particolare e pungente del frontman. Mason è l'arma principale di questa band, sia in studio che dal vivo come si è visto agli I-Days di Milano qualche giorno fa.
Se si segue un concept ci deve essere coesione su tutti i fronti. Cosa che qui è mancata parecchie volte. Il risultato quindi è a metà, se vogliamo dirla così. La prossima volta che si punti di più all'innovazione su tutti i brani e ad un continuum coerente, senza perdersi in un bicchiere d'acqua. O in una dead city distopica.