22 agosto 2025

Water From Your Eyes, l'intervista: tra evoluzione, Squid e John Frusciante

Tra il loro debutto Long Days, No Dreams del 2016 e il nuovo It's A Beautiful Place, in uscita il 22 agosto, sembrano trascorse diverse vite musicali. E invece i Water From Your Eyes, duo formato da Nate Amos e Rachel Brown, continuano imperterriti nel loro viaggio evolutivo con la stessa energia e voglia di distinguersi che li ha caratterizzati sin dagli esordi.

Si tratta del sesto disco in studio per un repertorio arricchito da diversi EP ed edizioni speciali dei dischi già pubblicati, il secondo da quando hanno firmato per la Matador Records (etichetta di Interpol, Queens of the Stone Age, King Krule, Yo La Tengo e tanti altri) a certificare la loro caratura. Una carriera costruita dal basso, con tante pubblicazioni, innumerevoli concerti e la stessa identica voglia di mantenere l'essenza mutando la forma di espressione.

In attesa di risentirli dal vivo il 29 novembre all'Arci Bellezza di Milano, abbiamo parlato direttamente con Nate e Rachel della difficoltà di incanalarli in un genere musicale, di un mondo sempre più distopia di sé stesso - ma con l'uomo come unica soluzione - e di influenze musicali.

Nate Amos e Rachel Brown, ossia i Water From Your Eyes: l'intervista
I Water From Your Eyes, Nate Amos e Rachel Brown. Foto press

Come definireste in poche parole It's A Beautiful Place?

Nate Amos: Sicuramente come "cosmic blue guitar".

Rachel Brown: Perfetto! O forse "giant blue guitar".

Decisamente concisa come risposta ma altrettanto efficace! (risata generale, ndr) Allora faccio io una domanda altrettanto diretta: John Frusciante suonerebbe questa chitarra?

Rachel: Penso di sì. Sarebbe bello!

Nate: Sarebbe assolutamente un sogno e la chiusura di un cerchio. Quindi… ehi, John Frusciante, se stai leggendo, questo è un invito ufficiale!

Ora articolo meglio la domanda, anche se immagino abbiate colto. So che siete grandi fan dei Red Hot Chili Peppers e dello stesso Frusciante e la prima volta che ho ascoltato il disco non ho potuto non sentirci molto dei suoi progetti da solista. Molto più sperimentali rispetto a quanto fatto con i RHCP. Di questi in particolare Shadows Collide By The People.

Nate: Hai fatto centro. Sono grande fan anche dei suoi lavori da solista, del disco che hai citato ma anche del suo debutto Niandra Lades And Usually Just A T-Shirt, che è uno dei miei dischi chitarristici preferiti di sempre. C’è un'influenza, ma non mi permetterei mai di mettere sullo stesso piano quello che abbiamo registrato e quello che ha fatto lui: descriverei Nights In Armor come una versione ‘baby’ delle sue opere principali, perché non avrei mai saputo replicare l’intensità di quello che ha composto.

ionicons-v5-c

It's A Beautiful Place è anche il vostro secondo disco con la Matador. Che punti in comune e/o differenze vedete con Everyone’s Crusched e i dischi precedenti?

Nate: In realtà tutto il materiale per It's A Beautiful Place nonostante sia molto diverso, è pressoché contemporaneo a Everyone’s Crushed, che quando abbiamo firmato per Matador era già praticamente fatto e finito. Penso che la differenza principale stia quindi nella consapevolezza e nel modo in cui sia stato ‘impacchettato’: lo abbiamo assemblato con un punto di vista diverso, mezzi diversi e in un certo senso anche un’idea di come sarebbe stato a registrazioni terminate.

Cosa mi dite invece riguardo i temi che tocca questo disco? Leggendo la tracklist sembra che parliate di una sorta di distopia e il collegamento con il mondo attuale è inevitabile.

Rachel: Procediamo con ordine. Nights In Armor è una citazione al brano After The Gold Rush di Neil Young: ascoltando il brano e immaginando di togliere la ‘K’ dal titolo ci siamo resi contro che sarebbe stato ancora più a libera interpretazione.

Nate: Il titolo l’ha scelto Rachel, ma quando l’ho scritta stavo passando un periodo fatto di notti difficili, con incubi, sogni terribili e paralisi notturne. Quindi diciamo che l’ho fatta mia perché effettivamente mi sentivo coinvolto.

Rachel: You Don’t Believe In God? è un’altra citazione di un libro che stavo leggendo. Inoltre ho riflettuto sul fatto che nessuno si chieda mai, in maniera provocatoria se non si creda in Dio: ci si chiede sempre se si crede in Dio. Ribalta un po’ la prospettiva, anche perché credo che tutti credano in qualcosa, che poi possa essere chiamato o rappresentare effettivamente un Dio.

Nate: Tutta la struttura del disco segue questo schema ascensione-discensione, attraverso un suono ruvido e fisico che richiama la nostra primordialità, che poi diventa rock per rappresentare l’evoluzione della società intesa come sviluppo dell’essere umano fino a quello che conosciamo oggi. Si arriva alla sezione centrale del disco, quella appunto composta da Born II e You Don’t Believe In God?, in cui la sensazione che volevamo suscitare era quella di un viaggio verso lo spazio, attraverso l’atmosfera, fino a vedere al di fuori per la prima volta con Spaceship.

Ma quindi, in definitiva, è un album distopico?

Rachel: Penso che il disco voglia in un certo senso suscitare emozioni ottimistiche, in fin dei conti credo che ci sia speranza per un mondo migliore. La realtà dei fatti è però che al momento stiamo vivendo una realtà distopica: tutti i giorni le news riguardano inondazioni da record, genocidi, tragedie di ogni sorta. C’è gente che muore di fame, come in Palestina e in Sudan. Qui negli Stati Uniti abbiamo l’impressione che i nostri politici non stiano facendo abbastanza e che non siano coerenti con quello che appunto la realtà ci mostra ogni giorno. È sempre più difficile immaginare un futuro che sia diverso rispetto al passato, come se le persone vivessero le loro vite senza consci di quanto fragili esse siano. Ci sono città come New Orleans, Miami, Amsterdam e la stessa New York che sono tremendamente a rischio per via dello scioglimento dei ghiacci che causerà l’innalzamento dei mari. Poi ci sono paesi in cui il caldo sta rendendo la vita insostenibile e letteralmente impossibile. Ho da poco visto un documentario in cui raccontavano che un’intera isola nel Pacifico verrà rilocata in Australia perché verrà sommersa entro 15 anni. Gli esperti dicono che siamo al punto di non ritorno e tutta la nostra società va ripensata: sembra un libro sci-fi.

L’impressione è che ormai la realtà sia una collezione di peggior-giorno-della-storia-dell’umanità…

Rachel: Penso anche però che la vita, non quella umana ma nella sua accezione generale, sia resistente e questo mi porta a sperare e credere sempre che in qualche modo la nostra storia continuerà. Non dobbiamo cadere nel fatalismo e nel pessimismo per non darla vinta a quelli che evidentemente stanno remando contro il pianeta e l’umanità. Là fuori c’è la possibilità di rendere il mondo un posto migliore e serve il contributo di ciascuno di noi per raggiungerlo.

Ho parlato di questo tema con diversi artisti nei mesi scorsi e la domanda che viene naturale porre è la seguente: come viene influenzato un artista o un cantautore dal contesto che si trova attorno?

Nate: Si tratta di cose ovviamente non scindibili: quando un artista produce qualcosa, questo è il frutto di stimoli esterni; l’arte è il prodotto di un artista che è a sua volta il risultato della realtà in cui si trova. Non vedo perché cercare di disconnetterli.

Rachel: C’è chi parla di dissociazione ma non è possibile controllare i pensieri e il processo creativo, che sono in gran parte nel subconscio. Compartimentare il pensiero e la mente è una cosa possibile principalmente nelle nostre intenzioni, si cerca di filtrare determinati pensieri per fare in modo che non escano così come li si è pensati, appunto. Ma in molti casi è una cosa inevitabile.

La copertina di It's A Beautiful Place dei Water From Your Eyes
Water From Your Eyes - "It's A Beautiful Place"

Secondo voi il fatto che molti artisti nascano da quella che potremmo definire come bedroom pop o dal genere lo-fi, come anche voi siete stati incanalati soprattutto agli inizi, sia frutto della società attuale?

Nate: Se in parte posso riconoscere a livello estetico una sorta di allineamento al genere, penso che in generale l’espressione bedroom pop stia progressivamente perdendo di significato, per quello che è la musica attualmente. La tecnologia si è evoluta e ha dato sempre più accessibilità a strumenti che tutti possono possedere per creare effettivamente musica nella propria camera da letto. Quindi al giorno d’oggi il rischio è quello di chiamare bedroom pop qualcosa che suona come quello che era originariamente bedroom pop oppure qualsiasi altra cosa che non comporti spese esose in termini di studi di registrazione, attrezzature e infrastrutture in generale. Un po’ come è diventato l’indie al giorno d’oggi: ormai si caratterizza il suono e non più, come era originariamente, il fatto che la produzione sia effettivamente indipendente. Ormai parlare di generi musicali è riduttivo e superfluo: possono esistere delle sonorità, ma nessun termine può ormai permettersi di identificare un genere specifico.

Vi avverto che vi state avventurando in uno dei miei discorsi preferiti. Parlatemi meglio di quello che è attualmente il panorama in cui vi state muovendo come band.

Rachel: Esistono cinque generi musicali: il rock, che contiene tutta la musica fatta con le chitarre, c’è ovviamente il jazz, la classica, l’hip-hop e il pop, che contiene tutta la musica che non appartiene nello specifico ai generi elencati prima.

Nate: Però ti stai dimenticando di generi un po’ più complicati come il reggae o la harsh music! (ride, ndr)

Io ho sempre pensato che il pop sia una versione semplificata per il mainstream delle cose che funzionano nei primi quattro generi musicali che hai elencato tu, Rachel.

Nate: Concordo. Il pop potrebbe essere chiamato franchise music.

Rachel: Io non direi che pop sia per forza qualcosa di facilmente digeribile, ma che si parli di qualcosa di facilmente accessibile come i pop corn: ne mangi più di uno alla volta senza pensarci troppo. Sì, pop sta per pop corn music! Quindi probabilmente la divisione ancora più a monte tra generi musicali è pop e non-pop.

Nate: Non sono troppo convinto, ma stiamo divagando… la realtà dei fatti è che a noi è sempre interessato il rock’n’roll e io dico che siamo una rock band e dovremmo smettere di pensarci perché come dicevamo poco fa la distinzione di generi ormai ha perso di significato.

E la vostra missione come band è quella di continuare a fare qualcosa di “non incanalato”?

Nate: Sicuramente quello che non vogliamo è essere noiosi. Assomigliare a qualcuno o fare musica già sentita è giusto solo se c’è qualche giustificazione concettuale dietro. La nostra missione è sforzarci, di andare oltre lo stato attuale della musica senza la pretesa di aver fatto tutto nuovissimo, ma almeno di aver provato a fare qualcosa di interessante.

Rachel: Creare qualcosa di non-pop e che in un certo senso qualcuno possa non sopportare.

ionicons-v5-c

C’è qualche band nel panorama musicale attuale in cui riconoscete lo stesso spirito nel processo creativo e anche come sonorità? Personalmente, per indirizzare la vostra risposta, dico che Nights In Armor mi ha ricordato molto gli Squid, in particolare il loro ultimo disco Cowards.

Rachel: Amo gli Squid! L’anno scorso abbiamo suonato con loro e sono probabilmente la prima band che mi ha dato la sensazione di essere musicalmente allineati.

Nate: La prospettiva e le atmosfere potrebbe essere le stesse effettivamente.

Per concludere, visto la vostra già ricca e varia discografia, vi vorrei chiedere se c’è un punto nel vostro percorso alle spalle in cui vi riconoscete come la band che trovo oggi qui in call con me. Vi sentite gli stessi di All A Dance?

Nate: Penso che quel brano particolare possa essere ricondotto a quello che siamo e facciamo oggi. Ma siamo sicuramente un altro duo: trovo innaturale che una band rimanga sempre la stessa cosa. Rispetto i gruppi che riescono a creare e riprodurre lo stesso suono per anni, ma onestamente non sono interessato a questa cosa. Cambiare fa parte della natura umana, perché non dovrebbe valere anche per noi?

Rachel: Siamo persone diverse che nel tempo sono cresciute e cambiate, per cui ogni disco è stato diverso dal precedente. Forse i primi dischi sono stati quelli più divertenti: l’EP III, per esempio, è strano perché è uscito tra due dischi molto identitari, musicalmente parlando. Penso che il cambiamento sia sempre stato nel DNA di questa band, ci siamo sempre evoluti.

I Water From Your Eyes
I Water From Your Eyes | (c) Adam Powell